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Ogm: bene rinuncia Monsanto, contrari consumatori e produttori europei. La superficie dedicata in Ue non arriva allo 0,1%
Ogm: bene rinuncia Monsanto, contrari consumatori e produttori europei. La superficie dedicata in Ue non arriva allo 0,1%
La Cia commenta la decisione del colosso americano di ritirare tutte le domande già presentate all’Europa per coltivare nuovi prodotti “biotech”, con l’unica eccezione del mais MON810. In Italia finalmente c’è il decreto che ne vieta la coltivazione, ora però attivare la clausola di salvaguardia.
Quella della Monsanto è una decisione inevitabile, visto che la maggior parte dei consumatori e dei produttori europei si muove in direzione opposta agli Ogm. Non solo tre cittadini su cinque in Ue sono contrari ai cibi “biotech”, ma la stessa superficie agricola comunitaria dedicata alle colture geneticamente modificate è irrisoria, rappresentando oggi neppure lo 0,1 per cento del totale. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, commentando la scelta dell’americana Monsanto di ritirare tutte le domande già presentate all’Ue per ottenere l’autorizzazione alla coltivazione di prodotti Ogm, con l’unica eccezione del mais MON810.
In Europa -ricorda la Cia- sono rimasti solo 5 Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare Ogm, con 129 mila ettari di mais transgenico piantati nel 2012, una percentuale più che esigua rispetto al totale della superficie agricola utilizzata nell’Ue che ammonta a circa 170 milioni di ettari.
Anche in Italia stiamo procedendo bene: i ministri De Girolamo, Lorenzin e Orlando hanno infatti firmato il decreto contro la coltivazione del mais MON810. Ora però -spiega la Cia- bisogna procedere rapidamente all’attivazione della clausola di salvaguardia, come richiesto fermamente anche dalle Regioni. D’altra parte, la domanda alimentare nel nostro Paese è chiara e netta: cibo naturale, tipico, salubre, controllato, certificato e chiaramente etichettato, possibilmente a prezzi contenuti. Le nostre produzioni di eccellenza fanno grande il ‘made in Italy’ nel mondo, con esportazioni che muovono quasi 30 miliardi di euro l’anno. E i mercati stranieri chiedono vini, oli, formaggi, salumi e trasformati tipici dei nostri territori, con i loro sapori caratteristici assolutamente non omologabili.
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